La storia della Sagra del Raviolo
Nel 1971 nasceva la manifestazione gastronomica più famosa di Contignano: La Sagra del Raviolo.
Scrive Alberto Franci che alcuni ‘soci fondatori’ della Pro Loco insieme ad altri appassionati cittadini decisero di dare ‘impulso’ a questa manifestazione allo scopo di rompere l’isolamento di Contignano e proiettarlo nelle mete culturali e gastronomiche della Val d’Orcia.
L’operazione ha valorizzato un patrimonio gastronomico proprio delle donne di Contignano, che in tal modo hanno trasformato la loro arte in una tradizione stagionale capace di attirare migliaia di visitatori.
Nella Sagra si esprime lo spirito comunitario di Contignano, che è tradizionalmente molto sviluppato, e la capacità organizzativa dei suoi abitanti.
La Sagra, una tipologia di manifestazione che in alcuni centri della Val d’Orcia si è affievolita a causa della improvvisa nascita di un turismo di massa che spesso sommerge i centri storici più affermati; nei piccoli centri come Contignano continua invece ad esprimersi con l’antico spirito e la primitiva ospitalità tipica di queste manifestazioni.
Nel 1971 la prima edizione
È con una certa nostalgia che ricordiamo la prima edizione della Sagra del Raviolo nel lontano 1971.
E la ricordiamo con la locandina ormai storica che annunciava la Sagra e con un articolo apparso sul quotidiano La Nazione di cui riportiamo la trascrizione integrale e le immagini delle colonne del giornale dedicate alla Sagra.
Dalla Nazione del 21 settembre 1971:
Valdorcia in festa
Sagra a Contignano, centro e motivo della rinascita valdorciana – Intervento della superfilarmonica di Bettolle e vittoria del balletto popolare di Radicofani
«Questa giornata vale più di dieci quaresime perdurate». La frase è di don Oscar, che è qualche cosa di più del parroco della comunità di Contignano dove lingua italica purissima e lingua sarda si incontrano e prendono sapore come i prodotti di due terre, di due mondi che parevano agli antipodi e hanno trovato il punto di accordo nella elementare estensione di una parola difficile, coesione.
Considerata nel suo aspetto spettacolare è una festa paesana organizzata bene e riuscita meglio. E’ molto di più, per il suo significato. E’ una sagra della rinascita di una vasta fascia di terra che era rimasta compressa dalla crisi agricola. Viene celebrata la seconda domenica di settembre, assecondata da un cielo benevolo nel quale il sole gioca e la spunta con una contestataria tramatura di nuvole che calano a incappucciare l’Amiata. Una bella giornata. da iscrivere negli annali della Valdorcia e in quelli del comune che, nel nostro caso, è rappresentato dal picco non più guerriero di Radicofani.
Contignano è sopra un poggio della valle dell’Orda, sulla sinistra del fiume che scende dal Cetona e va a dare forza all’Ombrone. Occasionalmente il suo territorio è nel comune di Radicofani e fra i « pipai » del capoluogo e i « pappai » della frazione non sono corsi mai rapporti di parentela. Radicofani è povero e coi poveri non ci vuole stare nessuno, neanche a essere progressisti. Il medico che veglia sulla salute dei contignanesi è uscito da un consorzio nel quale confluiscono, con Radi-cofani, i comuni di Castiglione. Pienza. Sarteano. Cianciano. Fra tutti questi i contiena-nesi fanno da sempre l’occhiolino a Chianciano e chi può dargli torto?
A parte considerazioni di umore campanilistico, bisogna rilevare che anche nella loro inclinazione verso altri capoluoghi la gente di Contignano dimostra una vocazione al concretismo, a organizzarsi su basi solide. E’ gente che in un mondo di disquisitori riesce ad anteporre i fatti alle parole. Intanto, chiudendo le finestre alle correnti e agli spifferi, ha realizzato un caseificio che rappresenta il primo grande passo verso una politica di ripresa di una zona depressa. Il primo ottobre del sessantasette ero qui ad annotare i momenti della posa della prima pietra della casa dei pastori. Muratore il povero Carlo Baldini, vescovo di Chiusi e Pienza. e intorno a lui Alberigo Sonnini, sindaco del comune, don Oscar, parroco, e Pietro Paolo Delogu, sardo, presidente della cooperativa produttori di latte della Valdorcia.
Sapevo, allora, che sarebbero andati lontano, dopo quella cerimonia di avvio durante la quale il sindaco parlò di don Oscar che immette un grande fervore sociale nella sua missione sacerdotale. Sono arrivati molto lontano poiché hanno incontrato in questo prete tenace e irriducibile, una sorta di Abuna Messias dei pastori e della Valdorcia e si sono imbattuti contro troppi venti anomali.
L’impressione che provo immergendomi nell’armonica confusione di Contignano in festa è quella d’essere arrivato in una comunità di gente con le idee precise. E con questa sensazione passa in sottordine e addirittura svanisce il pensiero che avevo avuto fino a qualche tempo fa, ossia che questo complesso per la lavorazione del latte sarebbe stalo meglio dalle parti delle Conie. Lasciamo perdere. Cosa fatta capo ha. E le cose fatte sono sempre da citare contro quelle che avrebbero potuto essere e che non sono state. Vedi, come esempio, il tornado di parole che esplose in sincronia con le cariche di dinamite che aprivano il varco a un traforo il quale rimane un’opera di valore tecnico ed è sempre più un brillante nel sacco di fagioli.
I fatti li hanno realizzati a Contignano e questa festa di settembre è da considerare come il trionfo della volontà e della coesione. Un manifesto diffuso urbi et orbi aveva annunciato a grossi caratteri una « sagra del raviolo ». E don Oscar — ancora lui, implacabile — mi dice che il raviolo è il prodotto più tipico della Valdorcia. Lo è assai più dei pici, o pinci, o lunghetti, poiché la ricotta ne è l’ingrediente più importante e qui, con le migliaia di pecore che rigrumano i sapori dei pascoli valdorciani, la ricotta è prodotto pregiato.
Spettacolo impressionante di automobili posteggiate lungo tutte le strade e sparse nei campi; e spettacolo di una l’olla che ondeggia lentamente fra i padiglioni attrezzati con arte. Le specialità sono irresistibili: agnello al palo, maialet-to arrostito, cacio, le virtù sono state diffuse dai versi stornellanti di Enzo Ottaviani, poeta della città d’autore. Nel prato sotto al balcone alberato che accompagna la via del Borgo corrono i ciuchi e gli uomini insaccati. Alla fine ci si accorge che anche il palco per la banda e per i balletti sarebbe stato bene qui. Nel punto dove è stato alzato è offerto alla vista degli spettatori di prima fila. Sarà per un altr’anno.
Clou dello spirito folcloristico della giornata è la super-filarmonica di Bettolle, un complesso moderno e giovane che sa scivolare con gusto nel passato romantico della musica popolare. Appena attacca il primo pezzo, al cenno del maestro Cintorino, se ne va l’ultimo straccio di nuvola che copre l’Amiata. Ballano le majorettes della Chiana: passi di danze e vibrazioni di tamburelli. Ballano sul palco le adolescenti di Pienza guidate dalla maestra Maria Szatanik, polacca ultrabionda, sposata nella città di Pio II.
Applausi a scroscio per le sedici ragazze di Radicofani in costume campagnolo fine Ottocento che si dispongono per il balletto, sospinte dalle fisarmoniche di Livio e Carlo Del Grasso, padre e figlio che hanno la musica nel sangue. Belle le ragazze danzerine e armoniosi i movimenti studiati da Nella Sonnini sul ritmo di una quadriglia che fu composta dal povero Ettore Vinci. Me lo ricorda un artista della tromba, Dorando, nativo contigna-nese che segue con entusiasmo le esibizioni della banda e dei balletti. Alle ragazze di Radi-cofani la giuria assegna il primo premio per il balletto. Se la musica è buona e c’è chi tiene la bacchetta, a Radicofani sanno ballare a vanno a tempo.
Cala il sole a cresce la pressione della festa. Tavolate di gente alle prese coi lavigli e file davanti ai padiglioni dove alcuni rischiano lo svenimento offrono il doppio del prezzo ad altri che hanno potuto fare il biglietto e sono vicini al traguardo del piatto. Alla fine le razioni vendute saranno più di mille. Scorrono fra la l’olla bicchieri di vernaccia – ambra e miscuglio di aromi – che a fare il bis si finisce nel mondo dei sogni.
Ritrovo don Oscar affaticato e felice. Ribadisce che il merito della festa è di tutti, dell’unione di tutta la popolazione. Non è soltanto una festa di Contignano, ma di tutto il comune. «Siamo tutti d’accordo» dice Pietro Paolo Delogu. «La festa è nata per spirito paesano». Lo dicono anche due figure che troneggiano sotto le volte di un cantinone dove fa lesta un gruppo di sardi. Sono Salvatore Faedda. tabaccaio e consigliere comunale, e Francesco Fioravanti, reatino, che è stato trentun anni in Sardegna ed è il tecnico specializzato del caseificio.
Festa di tutti, senza remore di campanile. I radicofanesi sono scesi tutti alla lesta e sono soddisfatti di questo successo. Sono tutti «pane e cacio» con gli amici di Contignano che ci sanno fare: che ancora una volta convincono con un esempio intelligente di compattezza.
Gim.